22 anni dalla scomparsa/Dall’antifascismo, alla difesa dello Stato democratico, fino alle battaglie nella Corte Costituzionale

Oronzo Reale, un repubblicano nella storia

di Antonio Del Pennino

Ricordare Oronzo Reale, a 22 anni dalla sua scomparsa, non significa solo ricordare la storia del P.R.I. di cui egli fu il sagace e autorevole segretario dal 1949 al 1963. Significa anche ricordare la storia di quel più vasto movimento laico, di sinistra democratica e azionista che contrassegnò la stagione della Resistenza e della lotta per la Repubblica e la Costituzione.

Anche ad esso Reale dette un importante contributo di moderazione, equilibrio e saggezza, che lo portò a proporre, inascoltato, un accordo per le elezioni della Costituente tra Partito d’Azione, Partito Repubblicano e la Concentrazione Democratica Repubblicana che avrebbe potuto modificare i futuri sviluppi della politica italiana, come egli stesso ricorda nel bel libro di memorie curato da Maria Grazia Melchionni: "Oronzo Reale. Storie di vita di un repubblicano storico".

E quelle stesse doti di moderazione, equilibrio e saggezza egli esercitò nella sua lunga segreteria del P.R.I. in cui rientrò, dopo l’esperienza del Partito d’Azione, nel 1947, ricollegandosi cosi ai suoi trascorsi giovanili, quando era stato, negli anni ‘20, segretario della Federazione Giovanile Repubblicana.

Doti che portarono Ugo La Malfa, con cui vi furono anche alcuni momenti di tensione, ad affermare in più occasioni che quando aveva bisogno di un consiglio meditato si rivolgeva solo al suo vecchio amico Oronzo Reale.

Il suo profondo senso di equilibrio si manifestò nel modo in cui gestì da segretario il delicato passaggio dalla fase del centrismo a quella del centro-sinistra.

Con assoluta fermezza, ma anche con una attenta scansione dei tempi.

E si deve a lui se - fallito il tentativo, che pure fece, di fermare la scissione pacciardiana - questa finì più limitata e meno traumatica di quanto si potesse temere.

Uomo di Governo

Fin qui il Reale politico e non dimenticato segretario del P.R.I. .

Ma sarebbe limitativo se non si ricordasse il suo ruolo di uomo di Governo che, come Ministro di Grazia e Giustizia, contrassegnò momenti fondamentali della trasformazione civile del paese.

A suo merito va ricordato come difese, nella fase della discussione parlamentare, la proposta di legge sull’introduzione del divorzio, rispetto alle pretese della Santa Sede, che invocava l’art. 44 del Concordato, il quale prevedeva che in caso di differenti interpretazioni di norme concordatarie le parti si dovessero incontrare per cercare di raggiungere un’interpretazione accettabile per entrambi.

E come, nella successiva campagna referendaria, puntualizzò tutte le questioni che rendevano utile e legittima la legge approvata, con la rubrica pubblicata sulla "Voce Repubblicana" "VOTARE NO", che mi è particolarmente caro ricordare perché nel successivo referendum sulla legge che portava il suo nome, nel 1979 toccò a me riprenderla, con il suo placet.

E non si può non sottolineare l’importanza della riforma del diritto di famiglia, da lui ostinatamente perseguita, nelle sue due fasi di governo come Ministro di Grazia e Giustizia, in cui la portò a termine.

Scrisse in proposito, con rara lungimiranza nel 1967, nella relazione che accompagnava il disegno di legge: "Il primo, e forse più delicato punto che il legislatore non poteva trascurare, era quello della posizione della donna in seno alla famiglia, in relazione a quella del tutto nuova e diversa da essa assunta nell’ambito della società. Il precetto posto dall’art. 29 della Costituzione, che statuisce l’uguaglianza morale dei coniugi, trova perfetto riscontro nell’inserimento della donna nella vita intellettuale ed operativa del Paese e non tollera più quella condizione subordinata che tradizionalmente le era riservata in seno alla famiglia, assicurandole solo una partecipazione indiretta e riflessa all’attività ed agli orientamenti della famiglia stessa".

Ed ancora: "Uno dei punti più delicati, e nello stesso tempo centrale, della riforma è quello concernente la posizione giuridica dei figli nati fuori del matrimonio, ed in particolare dei figli adulterini. Non è da oggi che l’opinione pubblica, tradotta anche nel pensiero di una notevole parte della dottrina giuridica, mostra per chiarissimi segni di considerare ormai con convinzione etiche e sociali mutate le condizioni di questi incolpevoli frutti di unioni illegittime, e non è da oggi che la ripugnanza verso ogni forma di discriminazione basata su queste condizioni si manifesta con un dichiarato indirizzo verso altri principi di equità e di uguaglianza che si compendiano nella più ampia istanza collettiva verso una giustizia sociale, che respinge tra l’altro ogni gerarchia che trovi la sua ragione nell’origine familiare".

Quella riforma, che raccolse vastissimi consensi, rappresentò una tappa miliare nella modernizzazione dei rapporti civili nel Paese.

Al punto che oggi, Bruno De Filippis, direttore della Collana, "La biblioteca del diritto di famiglia", radicale, sostenitore di più avanzati interventi in questa materia, ha scritto: "Nel 1975, nel corso di una stagione di vitalità travolgente delle tendenze riformiste, fu varato il nuovo diritto di famiglia. Con esso mutò radicalmente la concezione della famiglia, trasformatasi da istituzione gerarchicamente organizzata ("il marito è il capo") in società tra uguali. Per effetto della precedente ma strettamente connessa introduzione del divorzio, il matrimonio si era contemporaneamente trasformato da entità indissolubile in istituzione reversibile, dando luogo, nel nostro paese, all’inizio dell’era moderna".

Ordine pubblico

Forse ci potremmo fermare qui nel ricordare l’opera da Guardasigilli di Oronzo Reale.

Ma non sembrerebbe giusto. Sembrerebbe voler ignorare un’altra sua iniziativa, che fu invece molto discussa: la legge Reale sull’ordine pubblico.

Quel provvedimento fu assunto in una fase di emergenza democratica rispetto alla sfida terroristica.

Come ha scritto lo stesso Reale, "la legge fu un atto di necessità e di estremo coraggio. La presentammo perché eravamo arrivati al punto che la polizia non voleva più uscire sul campo e ogni volta che i poliziotti utilizzavano le armi per difendersi venivano processati come delinquenti. Quindi furono adottate misure che li rendevano più protetti".

Ma il percorso per arrivare al testo definitivo della legge non fu semplice.

Fanfani, in allora segretario della D.C., chiedeva una legge più rigorosa, al limite della costituzionalità.

Ma Reale impose ancora una volta una soluzione equilibrata che, non a caso, fu poi, nel referendum del 11 luglio 78, approvata con il 76,50% dei voti.

Consigli

Mi si consenta per chiudere un ricordo personale.

Io ebbi con Oronzo Reale un rapporto strettissimo, maturato negli anni in cui egli era Presidente del Gruppo Repubblicano alla Camera ed io giovane deputato di prima nomina.

Mi prese a ben volere, mi dava sempre saggi consigli, anche se qualche volta con dei rimbrotti.

Oserei dire, se non apparisse ambizioso, che mi considerava quasi un figlio politico.

Per questo, quando nel 1976 egli non fu più rieletto alla Camera, andai spesso a trovarlo nella sua abitazione di via Pollaiolo 5, per discutere sulla situazione politica ed avere consigli.

Una volta, mi sembra fosse il 1981, andai da lui quando la legge sull’aborto, di cui io ero stato relatore di maggioranza, era stata impugnata avanti alla Corte Costituzionale.

Reale, era allora giudice della Corte.

Parlammo di tutto. Poi, quasi leggendomi nel pensiero, con la sua voce chioccia mi disse: "So che tu sei venuto oggi anche perché vuoi sapere cosa deciderà la Corte. Io non ti dico niente: sono un giudice". E mi salutò con il suo sorriso ironico.

Mesi dopo si seppe che il giudice che più si era battuto nella Corte per la costituzionalità della legge era stato Oronzo Reale.

Questo era l’uomo.